Con il Decreto “Cura Italia” n. 18/2020 il Governo ha adottato molteplici misure per fronteggiare l’emergenza Coronavirus e tra di esse molte sono previste in favore di lavoratori e imprese. Tra queste vi è quella che tutela chi si reca a lavoro e rischia di contrarre il virus: in questo caso il contagio da Covid-19 viene considerato come infortunio sul lavoro.
A stabilirlo è l’art. 42, comma 2, del decreto legge, secondo cui “nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura la relativa tutela dell’infortunato”. Le prestazioni INAIL, sempre nei casi accertati di infezione, sono erogate anche durante la quarantena o l’isolamento fiduciario in casa dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. Disposizione che si applica ai datori di lavoro pubblici e privati.
Si ricorda che per “occasione di lavoro”, secondo consolidata giurisprudenza, devono intendersi tutte le condizioni, comprese quelle ambientali e socio-economiche, in cui l’attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall’apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, col solo limite, in quest’ultimo caso, del c.d. rischio elettivo, ossia derivante da una scelta volontaria del lavoratore diretta a soddisfare esigenze personali.
Sempre l’art. 42 prevede, al comma 1, che a decorrere dal 23 febbraio fino all’1 giugno il decorso dei termini di decadenza relativi alle richieste di prestazioni erogate dall’INAIL è sospeso di diritto e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Sono altresì sospesi, per il medesimo periodo e per le stesse prestazioni, i termini di prescrizione. Sono, infine, sospesi i termini di revisione della rendita su domanda del titolare, nonché su disposizione dell’INAIL, previsti dall’articolo 83 del D.P.R. n.1124 del 1965 che scadano in tale periodo. Detti termini riprendono a decorrere dalla fine del periodo di sospensione.
Quarantena come malattia
L’art. 26 del decreto prevede, inoltre, che, per i lavoratori del settore privato, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto (per i dipendenti pubblici l’equiparazione era già stata inserita nel D.L. del 9 marzo 2020).
Per tali periodi il medico curante dovrà redigere il certificato di malattia con gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena o all’isolamento domiciliare fiduciario. In ogni caso saranno considerati validi i certificati di malattia trasmessi, prima della sua entrata in vigore, anche in assenza del provvedimento da parte dell’operatore di sanità pubblica. Il provvedimento non sarà necessario neanche qualora il lavoratore si trovi in malattia accertata da Covid-19.
Inoltre, per i dipendenti pubblici e privati gravemente disabili, immunodepressi, con patologie oncologiche oppure che hanno in corso terapie salvavita: per loro, fino al 30 aprile, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie sarà equiparato al ricovero ospedaliero.
E i datori di lavoro?
Sempre l’art. 26 prevede che, in deroga alle disposizioni vigenti, non vi saranno oneri a carico del datore di lavoro che presenteranno domanda all’ente previdenziale, né a carico degli Istituti previdenziali, connessi con questo nuovo periodo di malattia. I relativi oneri saranno a carico dello Stato nel limite massimo di spesa di 130 milioni di euro per l’anno 2020. Gli enti previdenziali provvederanno a monitorare il limite di spesa e qualora emerga, anche in via prospettica, che tale limite è stato raggiunto, gli stessi enti previdenziali non prenderanno in considerazione ulteriori domande.
Fonte foto: scoprilavoro.it