Con la legge n. 3/2003, nota come legge Sirchia o legge antifumo, è stato stabilito il divieto di fumare nei locali chiusi, ad eccezione di quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico e, ovviamente, delle apposite sale riservate ai fumatori. Con la ricezione della direttiva 2014/40/UE, tale divieto è stato esteso alle pertinenze esterne delle strutture universitarie e ospedaliere nonché dei reparti di ginecologia e ostetricia, neonatologia e pediatria e, infine, al conducente di autoveicoli, in sosta o in movimento, e ai passeggeri a bordo degli stessi in presenza di minori di diciotto anni e di donne in stato di gravidanza.
Ma quali regole vigono tra condomini?
Per quanto riguarda gli ambienti comuni, frequentati dai condomini ma anche da altre persone (es. androni, pianerottoli, ascensori, scale e ambienti destinati a ospitare le riunioni condominiali), c’è stato un cambiamento di rotta rispetto al passato. Se prima era consentito fumare in questi luoghi, dal 2005 non lo è più: il Ministro della Salute ha infatti chiarito che il divieto si estende anche a tali zone al fine di garantire anche in ambito condominiale la tutela della salute dal fumo passivo (v. nota 1505 del 24 gennaio 2005).
L’amministratore di condominio ha il dovere di esporre l’apposita segnaletica antifumo e di vigilare sul rispetto del divieto, mentre i condomini e i frequentatori dello stabile possono richiamare verbalmente i trasgressori all’osservanza del divieto e, in caso d’inadempienza, segnalare la violazione alle competenti autorità.
Si può vietare il fumo proveniente dalla casa del vicino?
In linea generale, no: nelle proprie abitazioni e in altre aree di proprietà si può fumare (balconi, terrazze e giardini) senza alcun divieto. Nel caso in cui però non si riesca a sopportare il fumo del vicino, le soluzioni sono due: agire stragiudizialmente o giudizialmente.
- La prima è la soluzione migliore e consiste nel trovare un accordo col vicino in presenza degli avvocati ma fuori dalle aule di tribunale. È possibile anche inviare un’intimazione al condomino interessato e, se rimasta senza esito, una formale comunicazione all’amministratore, debitamente sottoscritta, per formalizzare la messa in mora nei confronti del vicino molesto. L’amministratore però non potrà limitare o modificare in alcun modo l’uso dell’altrui proprietà, salvo che il divieto di fumare sia previsto espressamente nel regolamento condominiale approvato all’unanimità.
- La soluzione giudiziale, invece, è meno semplice. Per limitare il comportamento del vicino è necessario, infatti, che questo rivesta determinate caratteristiche. Ad esempio, l’art. 844 codice civile consente al proprietario di impedire le immissioni di fumo o le esalazioni derivanti dalla proprietà del vicino, ma solo qualora queste superino “la normale tollerabilità”.
Che significa normale tollerabilità?
È un concetto generico la cui valutazione è rimessa all’autorità giudiziaria, che tiene conto delle peculiarità dei rapporti condominiali e della destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. Per stabilire se le immissioni di fumo soggiacciano o superino il limite della normale tollerabilità, il giudice si avvale di accertamenti di natura tecnica, compiuti da consulenti d’ufficio, ossia da esperti in grado di accertare l’intensità delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone.
È chiaro che, se la soglia della normale tollerabilità non viene superata, il condomino infastidito dal fumo non può ottenere dal giudice che al vicino venga vietato di fumare sul balcone o in terrazza.
Nell’ordinanza n. 7875/2009, ad esempio, la Cassazione ha riconosciuto come immissioni moleste di fumo di sigaretta quelle provenienti da un bar posto al piano terra del condominio, stante gli effetti fastidiosi e insalubri del fumo passivo provocati da un gruppo di individui.
Resta comunque fermo il divieto di gettare mozziconi di sigaretta dal balcone, senza smaltirli in sicurezza, trattandosi di un comportamento che può integrare il reato di “getto pericoloso di cose”, punito dall’art. 674 codice penale con l’arresto fino a un mese o l’ammenda fino a 206 euro.