Studio Legale Cassella

Facebook: messaggi offensivi in bacheca integrano il reato di diffamazione aggravata. Lo ribadisce la Cassazione con sentenza n. 40083/2018.

Quante volte scriviamo su Facebook messaggi rivolti a qualcuno? E alcuni, non tutti per fortuna, credono che dietro il monitor di un computer o di un cellulare tutto sia lecito, anche un messaggio negativo o denigratorio. Ma non è proprio così!
Ciò perché il profilo Facebook, secondo giurisprudenza consolidata, rappresenta un luogo aperto al pubblico, accessibile non soltanto agli utenti iscritti, ma anche a quelli non iscritti: un numero indeterminato di persone può, in sostanza, fruire delle informazioni ivi contenute. Significato naturalmente estendibile a qualunque altro social network.


Ottobre 2018, 23.
foto da: https://www.moneycontrol.com/

Ma posto che Facebook è un luogo aperto al pubblico, cosa succede quando si scrive nella propria bacheca un post denigratorio?

L’articolo 595 codice penale, relativo al reato di diffamazione, recita: “Chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro”.
Il terzo comma, che contempla la fattispecie aggravata, continua: “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro”.
La norma non lascia spazio a dubbi: se Facebook è un luogo aperto al pubblico con lo scopo di divulgare informazioni, è un mezzo di pubblicità al pari di un giornale. Segue che la pubblicazione di contenuti offensivi integra il reato di diffamazione.

E proprio di diffamazione si è di recente occupata la Corte di Cassazione, V sez. pen., con sentenza n. 40083/2018 pubblicata lo scorso 6 settembre.
In primo e in secondo grado, un utente del noto social network veniva condannato a 150 euro di multa e al risarcimento dei danni in favore dell’ex convivente per aver scritto frasi ingiuriose nella propria bacheca Facebook rivolte alla donna. L’imputato proponeva, dunque, ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte, dopo aver peraltro rilevato la commissione di altri reati da parte dell’uomo nei confronti dell’ex compagna (maltrattamenti e molestie), ha rigettato il ricorso stabilendo che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca ‘Facebook’ integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone, né l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria” (reato, quest’ultimo, ormai depenalizzato n.d.r.).

Menzionando anche una propria precedente sentenza (sent. n. 3963/2015), la Corte ha continuato: “Deve presumersi la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora l’espressione offensiva sia inserita in un supporto (nella specie, un registro) per sua natura destinato ad essere normalmente visionato da più persone. Ebbene, non vi è dubbio che la funzione principale della pubblicazione di un messaggio in una bacheca o anche in un profilo Facebook sia la ‘condivisione’ di esso con gruppi più o meno ampi di persone, le quali hanno accesso a detto profilo, che altrimenti non avrebbe ragione di definirsi social”.

Confermata, dunque, la condanna per l’utente Facebook: la pubblicazione di contenuti nel social network rappresenta senza dubbio una forma di comunicazione con più persone. Pertanto, se questi hanno natura offensiva, la condotta si inquadra perfettamente nel reato di diffamazione aggravata di cui all’art. 595, terzo comma, codice penale.

Facebook: messaggi offensivi in bacheca integrano il reato di diffamazione aggravata. Lo ribadisce la Cassazione con sentenza n. 40083/2018.ultima modifica: 2018-10-23T16:48:10+02:00da
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